Per questa grandissima opportunità devo ringraziare la signora Fabiana Romanutti, direttore responsabile ed editoriale del Magazine QB Quantobasta, che mi ha permesso di esser presente a questo prestigioso evento.
Si è svolto a Isola d’Istria (Slovenia) il Masterclass sui vini georgiani organizzato dall’Orange wine Festival e l’Ambasciata di Georgia in Slovenia, tenuto da Giorgi Dakishvili (Orgo wine), moderato dal giornalista Sašo Dravinec e con ospite Zurab Bekaia (Ambasciatore Georgiano in Slovenia)
La geografia della Georgia
Situata nel Caucaso meridionale, bagnata ad ovest dal Mar Nero, ha un territorio prevalentemente montuoso, dominato dalla catena del Caucaso.
A Nord si staglia il Gran Caucaso che funge da confine con la Federazione russa e, di fatto, fa da protezione dai freddi venti del nord; a Sud c’è il Caucaso minore le cui vette non superano i 3500 m e che fa da confine con la Turchia e l’Armenia e protegge invece la regione dall’influenza delle masse d’aria calda e secca provenienti da sud.
Tra le due catene montuose si aprono due valli fluviali: quella del Kura, verso est, e del Rioni, che arriva fino alla costa del Mar Nero, dove la valle diventa la pianura costiera della Colchide (Kolkhet’is Dablobi), solcata da numerosi corsi d’acqua.
Il fiume pricipale è il Kura che nasce in Turchia, percorre 1.520 km e sfocia nel Mar Caspio, in Azerbaijan. Il monte più alto è il Shkhara, alto 5.204 metri.
La topografia dello stato è piuttosto complessa, ma che ha permesso la formazione di una grande diversità di micro zone che influenzano la cultura dell’uva.
La storia della viticoltura
8000 anni di storia, cultura e tradizione: un debito che gli amanti del vino hanno ancora oggi nei confronti della Georgia, terra che ha visto la nascita della viticoltura e dove – non a caso – è stata scoperta la prima cantina del mondo, datata 4.000 a.C.
Già gli autori dell’antichità citano le viti e i vini del Caucaso, Omero che nell’Odissea racconta dei vini profumati e frizzanti della Colchide (oggi Georgia occidentale) e Apollonio Rodio che nelle “Argonautiche” racconta come gli argonauti abbiano trovato una fontana di vino nel palazzo di Aieti (in Colchide) e si siano riposati all’ombra della vite.
L’importanza della coltura della vite e dell’enologia per la Georgia è messa in risalto anche dalla figura simbolo del cristianesimo del Paese, San Nino. La croce utilizzata dalla santa che convertì il re d’Iberia al cristianesimo nel 327 d.C., infatti, è una croce fatta di tralci di vite, oggi simbolo della cristianità georgiana.
Il 4 dicembre 2013 Unesco ha riconosciuto il metodo tradizionale di vinificazione georgiano nelle anfore, Qvevri, come patrimonio intangibile dell’umanità.
Il Qvevri
Il qvevri è fatto per durare: non è raro trovare esemplari di oltre due secoli ancora in uso. I primi qvevri risalgono a circa 8000 anni fa, in epoca pre-romana e differiscono dalle anfore (utilizzate per il trasporto) per non essere dotati di manici e per essere destinati all’interramento.
Costruiti in terracotta, non sono smaltati ma vengono ricoperti all’interno da un sottile strato di cera d’api al fine di limitare l’evaporazione e lo scambio con l’ambiente esterno.
Dopo essere stati avvolti esternamente con uno strato di calce, sono interrati in ambienti coperti anche se non è escluso il posizionamento all’aperto. Questa pratica garantisce il mantenimento della temperatura sia in fase di fermentazione che in fase di maturazione e affinamento.
La vinificazione
Esistono differenti metodi di vinificazione utilizzati a seconda delle zone di produzione, tutti molto simili tra loro se non nella diversa quantità di vinacce utilizzate.
Il metodo “kakheto”, utilizzato nella Georgia orientale, prevede l’utilizzo nel mosto delle vinacce (chacha in georgiano) complete di bucce, vinaccioli e raspi.
Al contrario, il metodo “imereti”, della zona occidentale, prevede l’utilizzo solo di una piccola parte (circa il 10%) di bucce e di vinaccioli senza i raspi.
Un altro metodo, il “Kartli”, utilizzato nell’omonima zona, prevede l’impiego di bucce, vinaccioli e raspi per circa il 30%. Il processo di vinificazione, identico per tutti i metodi, prevede che, dopo una soffice pigiatura, il mosto sia messo nei qvevri. La fermentazione alcolica inizia spontaneamente con l’azione dei lieviti indigeni; durante questa fase, di una decina di giorni circa, il qvevri rimane aperto per consentire all’anidride carbonica di uscire dal recipiente e permettere di spingere sul fondo il cappello di vinacce a favore dell’estrazione dei polifenoli e delle altre componenti presenti nelle vinacce. La temperatura di fermentazione viene controllata naturalmente; è il fresco della terra nella quale le anfore sono interrate che la mantiene relativamente bassa.
A fermentazione conclusa, le vinacce si depositano sul fondo restando, solo in piccola parte grazie alla particolare forma del qvevri, a contatto con il vino. I qvevri sono riempiti fino all’orlo con altro vino della medesima tipologia; un semplice coperchio viene appoggiato sopra l’apertura fino al completamente della successiva fermentazione malolattica.
Completato il processo fermentativo, il qvevri viene chiuso ermeticamente sigillando il coperchio con argilla o cera e coprendolo con uno strato di sabbia.
La maturazione prosegue a temperatura stabile (intorno ai 13°C) per altri 3 o 4 mesi. Verso marzo o aprile, il vino viene prelevato lasciando sul fondo le fecce e messo in un altro qvevri pulito a decantare per un paio di mesi, passati i quali si procede a un nuovo ultimo travaso in un’altra anfora nella quale la maturazione prosegue ancora per 2 o 3 anni, anche se ci sono casi in cui si protrae fino a 20 anni.
Le pareti del qvevri, nonostante la chiusura ermetica, permettono una lenta ossidazione del vino a fronte di una limitata evaporazione che comunque costringe al controllo quindicinale del livello e all’eventuale rabbocco.
(fonte AIS Lombardia)
Dalle vinacce si distilla la Chacha, corrispondente georgiano della grappa.
I bianchi sono vinificati tutti con lunghe macerazioni sulle bucce, generando vini dal colore dorato brillante e dai sapori complicati, scorbutici, opulenti, inattesi. In Europa si chiamano Orange wine, qui li chiamano Amber wine.
Le regioni vocate alla viticoltura
Abkhazia, Samegrelo, Guria, Adjara, Meskheti, Kakheti, Kartli, Racha e Lechkumi: qui trovate tutte le specifiche.
La produzione di bianco è sul 75% mentre il rosso al 25%. Ai tempi dell’Unione Sovietica la Georgia era diventata la vigna della Russia. Vennero impiantati stabilimenti industriali per la vinificazione che usavano metodiche europee. La piccola e montuosa Georgia non aveva uva a sufficienza per soddisfare la sete della Grande Madre Sovietica e, per arrivare alla quota assegnata, si aggiungeva acqua e zucchero alla massa da fermentare. Ora ci sono circa 45.000 ha di vigne, mentre sotto il periodo sovietico si arrivava anche a 150.000 ha.
Ci sono un totale di 18 PDO (Protected Designations of Origin), 15 nella area sud/est dove le maggiori varietà sono Rkatsiteli, Mtsvane e Saperavi e 3 nel centro/ovest dove invece si coltiva maggiormente le qualità bianche Tsitska, Tsolikauri e Chinuri (vini freschi e fruttati), l’area inoltre è famosa per la Khavanchkara (varietà Aleqsandrouli e Mujuretuli) e altri vini semi dolci.
Vitigni
La Georgia può contare su un’impressionante biodiversità: l’ampelografia classifica 525 tipologie di vitigni georgiani. In nessun altro luogo del pianeta esiste una tale varietà.
Ora ci sono circa 30 diversi tipi di varietà di uve in commercio: qui potete trovare le specifiche.
I più blasonati vini georgiani: “Mukhuzani”, amarognolo, dal gusto piacevole; “Tetra”, amarognolo e lievemente paglierino; “Teliani”, rubino e lievemente ambrato; “Manavis”, frizzante e dolce; “Kindzmarauli”, con retrogusto di miele; “Tibaani”, dal gusto fruttato e, infine, “Khvanchkara”, ambrato e vellutato.
La degustazione
Accostarsi ai vini georgiani non è semplice, non possono esser paragonati ad alcun vino provato (almeno da me) finora. Bisogna approcciarsi all’assaggio dimenticando d’aver bevuto vino finora, con la mente assolutamente sgombra da pregiudizi e ricordi gustativi. Sono sapori non convenzionali, talmente antichi da non far serbar memoria, sono vini di anima, complessi per la loro storia, quasi arcaici.
Orgo Rkatsiteli 2016
Questo vino bianco o “Amber” è prodotto con uve Rkatsiteli al 100%. Il vino viene fatto fermentare e poi invecchiato a Qvevri per circa 6 mesi, utilizzando il contatto con le bucce per tutto il periodo dell’invecchiamento Qvevri. Il colore più scuro è determinato dal maggiore contatto con le bucce, dall’età delle viti e dal terroir.
La prima cosa che si nota è l’affascinante tonalità ambra che viene da sei mesi di invecchiamento sulle bucce. Al naso ricchi sapori di limone su una pesca gialla matura, con tannini morbidi e setosi. Mentre il vino assume aria, cresce di sapore, toni dolci di mela e pesca che aggiungono rotondità: la combinazione di delicatezza e forza lo rende straordinariamente equilibrato. Un gusto nobile che racchiude la giusta sapidità che rimane sulle labbra, ma senza esser invadente.
Orgo Tsolikouri 2016
Questo vino secco ambrato è ottenuto da uve Tsolikouri 100% da vitigni di 50 anni di età media coltivati nella regione speciale di Tvishi, nelle montagne della Georgia occidentale. Le uve diraspate sono fermentate a Qvevri e invecchiate sulle bucce per sei mesi secondo la vecchia tecnologia Imeretian.
Un color ambra estremamente intrigante nelle sfaccettature oro. Al naso ricco e avvolgente con pera selvatica, buccia di pompelmo e note floreali. In bocca subito un’acidità importante, molto fresco, tannini morbidi, i ricchi acidi suggeriscono mela, limone, pera, mela cotogna, frutta matura e cotta dal sole, persino melograno. Una struttura importante e complessa, persistente.
Dakishvili Family Selection 2016
Questo vino secco ambrato e corposo è una miscela di tre varietà endemiche georgiane: Rkatsiteli, Mtsvane e Kisi coltivate nei vigneti della famiglia Dakishvili nel villaggio di Kondoli, sulla riva destra del fiume Alazani, nella regione di Kakheti in Georgia.
Questo vino è stato fatto fermentare e maturare a Qvevri secondo il metodo georgiano di produzione vinicola tradizionale.
Color ambra brillante. Il vino offre complessità di frutta secca, linfa vegetale, albicocca accompagnata da mandorle tostate e spezie dolci. Morbido e lungo, vivace con tannini morbidi e generosi, acidità importante ma ben arrotondata. Una volta lasciato aprire diventa ancora più complesso portandosi dietro note dolci, quasi mielate.
Orgo Saperavi 2015
Il Saperavi è prodotto con uve Saperavi 100% coltivate su vecchie viti di 80 anni che crescono nella regione di Kakheti nel Paese della Georgia. Il vino è stato fermentato a Qvevri, grandi vasi di argilla, sepolti lungo il terreno seguendo il vecchio metodo tradizionale georgiano.
Un impenetrabile color rosso porpora, denso e cupo, al naso un avvolgente e complesso, quasi complicato, bouquet di ciliegia matura, bacche di ginepro, more, sentori di cioccolato fondente, cuoio seguiti da un vino corposo, importante con tannini importanti, ma caldi, setosi e splendidamente levigati. Cambia a ogni sorso, divertente la ricerca delle varie complessità e sapidità, non noioso anche se non facile da capire nell’immmediato, lascia un finale persistente, quasi da compagnia, meditativo.
Questo Saperavi è ottimo da bere ora, ma anche un grande potenziale di invecchiamento.